Ci risiamo, bere rosa o non bere rosa? Ci giro intorno da molto e di rosati me ne sono comperati e degustati non pochi.
Mantengo, purtroppo il mio riserbo. O meglio, mantengo alcune perplessità.
Vorrei dire “non capisco ma mi adeguo”, poi però penso ai rosati provenzali, al grossi fermento che c’è attorno ai rosati e prendo atto che qualche motivo ci dovrà pur essere.
Per togliermi lo sfizio e per provarne ancora altri, partecipo insieme al mio gruppo di neo-sommelier a Drink Pink, un evento organizzato dal Gambero Rosso alla Terrazza Civita di Roma.
Certo, questa location ti distrae talmente tanto da farti sembrare buono tutto, ma caparbi come non mai optiamo per l’annesso seminari con relativa degustazione.
10 rosati 10. 10 totalità diverse di colore. 10 profumi diversi. 10 degustazioni con storie a se.
Colgo l’occasione per mettere a fuoco due componenti che mi rendo conto influenzano sempre la mia opinione.
- Il colore.
La componente visiva gioca la sua parte. Quel rosatello tenue alla provenzale (per essere corretti “rosa tenue”) non mi attrae per niente - Il vitigno
Oramai ho preso coscienza del fatto che se non c’è alla base un Aglianico, un primitivo o un Negramaro o comunque qualcosa di sostanzioso, quel rosato non mi fa impazzire
Troviamo in degustazione 10 rosati. Due sono quelli che mi hanno lasciato una bella sensazione:
- Costa d’amalfi rosato ’17 di Marisa Cuomo
Aglianico 50% Piedirosso 50% - Tramari Rosè 2017 San marzano
100% Primitivo
Ma guarda un po, Aglianico e Primitivo…
Due vini su fascia di prezzo bassa che ricomprerei con piacere.